Lo sciopero indetto dalla CGIL per il 6 settembre ha mostrato, una volta di più, la profonda frammentazione del panorama del sindacalismo di base nel nostro paese.
Mentre USB (seguita da numerosi gruppi minori) ha prontamente aderito, i COBAS hanno respinto l’indizione dello sciopero (in questo caso pesa probabilmente il fatto che questo organismo ha il suo punto di forza nella scuola, dove l’attività non è ancora iniziata a pieno), la CUB si è divisa al suo interno con federazioni che partecipavano (come il Piemonte) mentre l’indicazione nazionale era quella di non aderire, ponendo l’accento sul carattere strumentale dell’agitazione CGIL. Anche l’USI-AIT non ha partecipato allo sciopero.
La scelta indubbiamente non era semplice: da una parte la necessità di dare una pronta risposta ad una manovra tra le più antipopolari degli ultimi anni, dall’altra il rischio di portare acqua al mulino del sindacalismo consociativo marca CGIL. Spiace però che si sia persa un’altra occasione per creare (in un senso o nell’altro) un fronte unitario del sindacalismo non consociativo.
in realtà l’USI-AIT pur non indicendo lo sciopero ha lasciato le singole sezioni libere di aderire alle varie manifestazioni in base alle declinazioni locali che lo sciopero ha poi assunto.
Da sottolineare poi a Udine l’ulteriore ambiguità visto che le manifestazioni di CGIL e sindacati di base si sono svolte nello stesso luogo portando a mio parere ulteriore acqua al mulino consociativista CGIL.
Luca