Anarchici e sindacati

La storia del movimento anarchico si intreccia indissolubilmente con quella del movimento operaio. Nell’ambito della Prima Internazionale (Associazione Internazionale dei Lavoratori) si riuniscono per la prima volta nel 1864 i rappresentanti delle principali organizzazioni sindacali e politiche del proletariato, qui si consuma la frattura tra i sostenitori di Marx e quelli di Bakunin. Dopo la proditoria espulsione di Bakunin nel 1872 i rappresentanti delle sezioni anti-autoritarie si riuniscono a Saint-Imier rifondando l’Internazionale su basi federaliste e libertarie.

Dalla comune esperienza della Prima internazionale derivano diversi modelli di intervento:

il SINDACALISMO RIVOLUZIONARIO teorizzato in Francia specialmente da Fernand Pelloutier e poi, in modo più radicale, da Pierre Monatte, vede nel sindacato l’unico strumento valido di organizzazione della classe operaia ai fini rivoluzionari. Viene rifiutata l’esistenza di qualunque organizzazione politica collaterale (inclusa quella anarchica), l’organizzazione federalista dei lavoratori nelle Bourses du Travail locali costituisce il modello della future società libera, da raggiungersi attraverso un moto rivoluzionario che vede nello sciopero generale il suo strumento fondamentale. Questi principi vengono accolti dalla CGT francese nel 1906 con la CARTA DI AMIENS.

Valdarno: lavoratori anarchici

Georges Sorel, uno studioso del tutto estraneo al movimento operaio e libertario, assorbirà alcuni di questi elementi, li fonderà con concezioni desunte da Marx e da Bergson per elaborare una teoria che avrà discreto successo in Italia.

Errico Malatesta si contrapporrà al modello di Monatte (Congresso di Amsterdam, 1907) sostenendo che i sindacati sono organismi tendenzialmente e inevitabilmente riformisti, che il ruolo rivoluzionario fondamentale deve essere assunto dall’organizzazione “specifica” anarchica (che quindi non deve “sciogliersi” nel sindacato), fondamentale è in ogni caso l’INTERVENTO DEGLI ANARCHICI NEI SINDACATI.

In Italia nel 1912 le Camere del Lavoro di ispirazione anarchica o sindacalista rivoluzionaria soreliana fondano l’Unione Sindacale Italiana (USI) per contrastare il monopolio riformista della socialista CGdL.

In Spagna prevale il modello dell’ANARCOSINDACALISMO, con tratti molto simili al sindacalismo rivoluzionario francese. I lavoratori si riuniscono nei Sindicatos Unicos su base locale, federati poi tra di loro su base regionale e nazionale (CNT) e si evita con cura di creare una burocrazia permanente e stipendiata. Lo scopo fondamentale del sindacato è la rivoluzione ma i caratteri anarchici sono più marcati rispetto al modello francese. La CNT pone ufficialmente come proprio obiettivo l’edificazione del comunismo libertario e, a fianco del sindacato, permane un’organizzazione “specifica” la FAI.

Nel 1922 a Berlino, sindacalisti rivoluzionari ed anarcosindacalisti fondano una nuova Internazionale (che riprende il nome di Associazione Internazionale dei Lavoratori, AIT) per contrapporsi ai tentativi della Terza Internazionale leninista di fagocitare l’intero movimento sindacale in una prospettiva autoritaria.

OGGI IN ITALIA

Il sindacato viene trasformato dal regime fascista, in una cinghia di trasmissione della volontà dello Stato tra i lavoratori, diretto da una burocrazia dotata di grandi privilegi (possibilità di trattenere le quote d’iscrizione direttamente “alla fonte”, contributi statali, monopolio del diritto di sottoscrivere contratti aventi valore legale) ma priva di qualsiasi autonomia politica.

Il modello fascista viene sostanzialmente riprodotto nell’Italia “democratica”. Nel 1944 la CGIL viene costituita con un accordo al vertice tra PCI, DC e PSI e i posti dirigenziali rigidamente lottizzati tra questi partiti. Segue nel 1948 la scissione sindacale che vede la nascita, sempre su base partitica, di CGIL (PCI, PSI), CISL (DC) e UIL (PSDI, PRI).

Negli anni successivi il carattere consociativo dei sindacati “di Stato” è andato accentuandosi sempre di più, tanto che oggi essi sono essenzialmente degli enti che, privi di ogni idealità di trasformazione sociale (che non sia puramente di facciata), erogano servizi a pagamento ad una platea di iscritti passivi: assistenza fiscale (CAAF), patronato, gestione di fondi pensionistici in regime di monopolio..., godendo di ricchi contributi da parte dello Stato e di una legislazione che garantisce a CGIL, CISL, UIL il monopolio legale dei diritti sindacali.

Il rifiuto del consociativismo sindacale ha prodotto nei decenni scorsi la nascita di un movimento sindacale alternativo e di base. Nel 1979 viene “riattivata” l’Unione Sindacale Italiana e a partire dalla seconda metà degli anni 80 nasce un’ampia serie di SINDACATI DI BASE (tra i principali esistenti attualmente CUB, USB, COBAS). L’attività sindacale degli anarchici oggi si divide essenzialmente tra la militanza nell’USI o in qualche sindacato di base.

E’ oggetto di discussione se il modello anarcosindacalista “puro” (autogestionario, rivoluzionario, di massa) possa essere riprodotto in un quadro sociale ed economico profondamente mutato e che vede una diffusa passività tra i lavoratori (anche i più consapevoli sembrano cercare oggi un sindacato che “risolva per loro” i problemi più che un sindacato in cui “i problemi vengano risolti tutti insieme”) o se sia preferibile puntare su forme più praticabili di SINDACALISMO LIBERTARIO (auto-organizzazione su obiettivi circoscritti, in cui il sindacato non appare più come organismo direttamente “rivoluzionario” ma come momento di difesa autogestita su bisogni immediati).

Peraltro la situazione attuale vede la presenza di MECCANISMI DEGENERATIVI (scissioni, personalismi, formazioni di piccole burocrazie) anche in questi nuovi organismi sindacali. Fenomeni che devono essere attentamente analizzati e compresi, nell’ottica di una efficace azione autogestionaria.

Questi temi vengono sviluppati nella categoria ANARCHICI E SINDACATI del blog.

Una risposta a Anarchici e sindacati

  1. france' scrive:

    secondo me, al netto dei problemi di sigle e organizzazione, la vera questione e’: ci crediamo o no, e’ importante o meno, intervenire e lottare sul posto di lavoro? L’impressione che ho e’ che il movimento libertario si trovi unito su lotte come quelle no-cie, notav, occupazioni (tutte sacrosante)…, e poi non si trovi un momento per confrontarsi sulla questione lavoro, che purtroppo ci riguarda (quasi) tutti ed e’ tra le poche forme di lotta che riesce a esprimere le potenzialita’ reali, attuabili dell’anarchismo, con in certi casi anche un certo seguito numerico (vedi sindacati di base, usi, anche in regione).

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