Scriviamo quest’articolo per spiegare la tragedia che sta dietro all’arresto di un recluso nel CPR di Gradisca, apparso ieri su un quotidiano sotto l’ignobile sottotitolo «Lì dentro delinquenti ex carcerati». Invitiamo a leggere fino in fondo e diffondere. Ci troviamo ormai senza parole per descrivere quanto la realtà dentro i CPR venga storpiata dai media, che, descrivendola attraverso la voce di poliziotti o altre persone di parte, assumono un ruolo essenziale nella costruzione di un immaginario falso attorno al lager e alle persone recluse, legittimando quindi la sua esistenza e concimando il razzismo più becero.
Cos’è successo?
I reclusi ci raccontano che da alcune settimane sono entrate molte persone nel CPR “appena arrivate in Italia” e che non parlano italiano. Da alcuni quotidiani locali leggiamo che si potrebbe trattare di persone in arrivo dalla rotta balcanica, da dentro invece ci dicono che vengono da Lampedusa.
Tra questi c’era R. un ragazzo egiziano, ora in arresto. Molti detenuti ci parlano di lui da giorni, preoccupati per la sua sorte. Finora non siamo riuscite a riportare le loro voci riguardo a questa storia, perché nel frattempo nel CPR è morto Orgest Turia e il suo compagno di cella, H., è stato salvato in extremis. H. ora si trova in ospedale, ma vogliono rinchiuderlo di nuovo dentro il CPR, contro la sua volontà e quella di tutti i familiari, che sono certi che non mangerebbe niente se entrasse, per lo shock e la paura che gli succeda un’altra volta la stessa cosa.
Torniamo a R. Da quello che ci raccontano, R. è uscito dalla zona di quarantena verso l’11 luglio, non parlava italiano, era appena riuscito ad arrivare in Italia ed era molto stressato per due ragioni: gli era stato tolto il cellulare e aveva un forte dolore ai denti ma, a quanto ci dicono, le sue richieste non venivano ascoltate.
Ci dicono che il 15 luglio R. inizia a protestare vivacemente e che per questo gli viene finalmente data attenzione, ci riferiscono che gli viene detto che verrà avvisato il capo e quindi lui aspetta questo colloquio.
Il colloquio però non sembra arrivare. Tra il 16 e il 18 luglio, ci raccontano che nella sua cella scoppiano dei piccoli incendi, in cui lui si brucia un braccio. Ci dicono che viene denunciato per danneggiamento e gli altri detenuti continuano a dire che lui non deve stare lì, che non ha senso perché è appena arrivato in Italia e che ha bisogno del suo cellulare.
Il 19, durante il giorno, la rabbia di R. esplode, ci raccontano che si trova nella cella con gli altri reclusi, mentre gli operatori e i militari si trovano protetti dall’altra parte delle sbarre. Nei video di quei momenti si sente chiaramente qualcuno tra questi ultimi che gli dice “Adesso ti arriva il telefono, va bene? […] se io ti prometto qualcosa la mantengo va bene?”; i reclusi vicini a R. invece cercano di tranquillizzarlo: “Non ti preoccupare, va bene”, sanno che R. è psicologicamente instabile per la situazione in cui si trova. Ripetono che R. sta impazzendo e che ha iniziato anche a dormire fuori, per terra.
Ci raccontano che nelle prime ore del 20 luglio nella stanza di R. scoppia un nuovo incendio. Altri reclusi si svegliano e qualcuno esce dalla cella per il fumo. A quel punto, da quello che ci raccontano, un operatore aziona l’estintore sul volto di M., un altro recluso, che perde i sensi e viene trasportato in Pronto soccorso assieme ad altri. Ora sono tutti arrabbiati: pensano che M. ha rischiato la vita e che R. non doveva stare lì, ormai non stava più psicologicamente bene. R. non deve stare nemmeno in galera, dove si trova ora.
Con la rabbia in corpo, perché abbiamo sentito un’altra storia ingiusta, perché vogliono riportare H. in CPR oggi, perché il CPR esiste, ma anche per la complicità più squallida dei media, ripetiamo: che i muri di quel lager possano crollare!