Cineforum di Giovedi 30 maggio proiezione di:
Barrura begiratzeko leihoak
di Josu Martinez, Txaber Larreategi, Mireia Gabilondo, Enara Goikoetxea, Eneko Olasagasti
LINGUA ORIGINALE
CON SOTTOTITOLI IN ITALIANO
Con la proiezione di questo documentario vogliamo creare un’occasione per rompere il velo omertoso che avvolge da sempre la situazione particolare dei/delle prigionier* politici/che basch*.
Ne parleremo con il comitato Friul Euskal Herria che in una breve introduzione al film ci racconterà quale sia l’attuale situazione dei/delle detenut* e della repressione in Euskal Herria. (continua sotto il trailer)
http://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=L4C8wL5cA1U
“Cinque registi ritraggono cinque prigionier* politic* basch*. Una giovane donna conta i giorni rimanenti prima di essere arrestata. Un uomo torna in libertà dopo 17 anni di carcere. Una madre registra ogni conversazione telefonica che ha avuto con la figlia imprigionata su 125 cassette. Un intellettuale, docente di giornalismo, cerca di trovare se stesso nella solitudine della sua cella. Un ex leader di ETA torna in contatto con un caro amico di gioventù, ora regista. Cinque sguardi per raccontare la vita delle persone dietro le sbarre, dietro gli eventi, dietro i titoli dei giornali.”
da qui
Programma della serata
Alle 20.00 degustazione di Sidra Basca + cibarie vegan
alle 20.30 introduzione al documentario a cura del Comitato Friul Euskal Herria
a seguire proiezione del film.
Questo documentario ha subito pesanti critiche e superato non pochi ostacoli per la sua realizzazione, sia durante le fasi di ripresa che successivamente, al momento della presentazione pubblica (contestazione dei finanziamenti per progetti inerenti ai Diritti Umani, rinuncia da parte della produttrice di qualsiasi finanziamento, prima proiezione a porte chiuse ecc ecc)
Pubblichiamo un’intervista apparsa su Gara a tre dei cinque regist* che raccontano come hanno affrontato il progetto a titolo personale e le loro opinioni su tutto il trambusto generatosi intorno alla pellicola.
“Non permettono che i prigionieri politici vengano mostrat* come persone”
Intervista a regist* di Begiratzeko Leihoak/Finestre che guardano dentro
Koldo Landaluze
Gara
Txaber Larreategi, Josu Martínez, Mireia Gabilondo, Enara Goikoetxea y Eneko Olasagasti sono i/le regist* incaricati di dare forma e senso a «Barrura Begiratzeko Leihoak/Finestre che s’affacciano dentro»; un documentario nel quale assistiamo ad esperienze, emozioni e complicità mostrate da cinque prigionieri politici baschi. Superata la maggior parte degli ostacoli durante le riprese e i primi giorni di vita, adesso è arrivato il momento per essere goduto dagli spettatori.
Dopo l’incertezza generata attorno al «Barrura Begiratzeko Leihoak/Finestre che guardano dentro», finalmente questo documentario “segnalato” potrà essere visto sui nostri schermi soprattutto grazie alle iniziative popolari promosse in varie località dell’Euskal Herria.
Prima che gli schermi si illumino con la testimonianza dei cinque prigionieri politici che sono protagonisti di questi film, condividiamo questa intervista con tre dei cinque cineasti che hanno partecipato a questo progetto corale Mireia Gabilondo, Enara Goikoetxea y Eneko Olasgasti.
Com’è nata e come avete deciso di partecipare a questa iniziativa corale?
Mireia Gabilondo. Nel mio caso è stata una enorme sorpresa quando Josu Martìnez me l’ha proposto. Avevo chiaro come affrontare la mia storia e dopo aver meditato su come mettere a fuoco, sono riuscita a catturare quello che volevo. E’ stata una sorpresa perché non conoscevo Gotzone López de Luzuriaga, a parte che la sua storia personale è molto dura perché ha un cancro e deve affrontarlo in carcere, mi era sembrato molto interessante lavorare con le conversazioni che sua madre aveva registrato su nastro.
Enara Goikoetxea. Con Josu ci conosciamo da molto tempo e avevo già lavorato con lui a vari progetti. Mi disse che cercava un quinto regista e non me lo propose direttamente perché sapeva che la politica non mi interessava particolarmente. Quando gli dissi che volevo partecipare al progetto, mi ha raccontato in seguito che era rimasto un po’ sorpreso.
Eneko Olasagasti. Mi è stato proposto di concentrarmi su qualcuno di politico tra il gruppo di prigionieri. C’era l’opzione di Amaldo Otegi o Mikel «Antza» con il quale condivisi un’amicizia nel passato. Alla fine ho optato per la seconda perché mi interessava molto a titolo personale e perché lui mi obbligava a fare un duro lavoro di introspezione; c’erano molte implicazioni personali in questa opzione perché prevedeva un rincontro. Questa cosa è stata presente fin dall’inizio.
Come avete impostato la vostra storia?
E.O. Ci furono dei cambiamenti, rispetto l’idea iniziale che avevo in mente, però il filo conduttore – il ritrovo di una amicizia- prevalse. Dopo un fitto scambio di lettere con Mikel, gli chiesi di trasformarsi in co-sceneggiatore della storia. In questo modo le lettere diventarono il carburante del viaggio, questo rincontro centrato nel recuperare un’amicizia, si trasforma nell’azione della storia. Infine tutto si concentra nel finale, nell’incontro fisico che tutti e due condividiamo.
Nella parte dedicata a Jexus Mari Zalakain si affronta anche il tristemente noto “Caso 18/98”.
E.G. Jesus Mari Zalakain è una persona di una certa età, e la cosa crea un certo impatto a quello che si sta raccontando perché l’ha vissuto direttamente. Ha vissuto di prima mano diversi cicli. Mi interessava anche sul versante intellettuale e tutto quello che poteva raccontarmi sull’episodio che portò alla chiusura dei giornali «Egin» y «Egin Irratia». Grazie all’aiuto dei suoi amici sono riuscito a portare a termine questo lavoro a colpi di corrispondenza e chiamate telefoniche perché ancora sta scontando la sua pena. E’ interessante notare che quello che abbiamo patito per affrontare questo progetto ha molte somiglianze con quello che è successo all’epoca del «18/98».
Nel suo caso la parola gioca un ruolo fondamentale. Come hai fatto per unirla con le immagini?
M.G. Lo avevo chiaro fin dall’inizio. Dover ascoltare per ore questo materiale, mi ha introdotto in questa piccola intimità domestica ed emotiva che condividevano madre e figlia. La voce si trasforma nel filo conduttore. Gotzone non appare in alcun momento, la sua presenza si intuisce attraverso queste conversazioni che condivide con i genitori. C’è voluta spina dorsale, pero’ quando l’ho avuto chiaro ho voluto affrontarlo in questo modo e mi sono messa in contatto con la famiglia, che mi ha dato tutto il suo appoggio incondizionato e che devo ringraziare tantissimo- per arrivare alla fine di questo corto di 15 minuti.
Che emozioni avete avuto vedendo questo lavoro collettivo per la prima volta?
E.O. E’ difficile esprimerlo. Si concretizzava negli aspetti puramente artistici, direi che siamo riusciti a portare a termine la nostra missione e abbiamo superato il grande dubbio che avevamo in sospeso dall’inizio che consisteva nel fatto che il film non dovesse risentire nella struttura per il fatto di essere diviso in 5 parti. Questa unità nello stile è stata un successo.
E.G. Ci incontravamo ogni tanto e ognuno raccontava come come andava avanti il proprio programma. Siccome il lavoro è diviso in cinque storie diverse, il nesso dell’unione è stato comune perché condividevamo la stessa troupe. Poi, ognuno ha elaborato il proprio progetto seguendo i propri parametri creativi, ma tenendo presente il peso umano alla base del film.
M.G. La prima volta che mi sono emozionato fu quando la vidi sullo schermo grande, quando lo proiettammo all’esterno al Victoria Eugenia. Era da tempo che non lo vedevo- prima l’avevamo vista in casa, dai nostri produttori o nei televisori- e questo rincontro con il film mi ha suscitato molte emozioni, ho sentito una catarsi quando il pubblico si è alzato in piedi per applaudire al termine della proiezione.
«Non avevamo intuito che tutto era tanto sproporzionato»