LA “DEMOCRAZIA SINDACALE” IN ITALIA ? MAI ESISTITA…

CON IL NUOVO CONTRATTO DEL GRUPPO FIAT VOLUTO DA MARCHIONNE E FIRMATO DA CISL, UIL, UGL (e altri sindacati gialli) E’ ENTRATO DEFINITIVAMENTE IN CRISI QUEL MODELLO DI CONCERTAZIONE SINDACALE (CONSACRATO CON GLI “ACCORDI DI LUGLIO” DEL 1993) DI CUI LA CGIL ERA PROTAGONISTA INDISCUSSA INSIEME A CISL E UIL.

UN MODELLO NEOCORPORATIVO CHE PREVEDEVA IL MONOPOLIO LEGALE DELLA RAPPRESENTANZA SINDACALE E LA CONSEGUENTE EMARGINAZIONE DEI SINDACATI DI BASE, RICETTA ORA APPLICATA DA MARCHIONNE ALLA STESSA FIOM.

UN MODELLO CHE VIENE DA LONTANO (come si vede in questo articolo)

Dal fascismo alla “democrazia” Se infatti, durante il regime fascista, il sindacato si trasforma in un organo dello Stato, avente il monopolio della rappresentanza dei lavoratori ed il diritto di sottoscrivere Contratti Collettivi di Lavoro con valore legale per tutti (“erga omnes”),

con la caduta della dittatura il sindacato “unitario” viene ricostituito dall’alto con un accordo di vertice tra PCI, DC e PSI e trasformato in cinghia di trasmissione delle scelte politiche di questi partiti.

I vertici delle organizzazioni dei lavoratori vengono occupati da sindacalisti di mestiere che nulla hanno più da spartire con la classe operaia e gli interessi dei lavoratori vengono (allora ed in seguito) sacrificati alle esigenze “politiche” del momento.

All’Assemblea Costituente si discute del ruolo dei sindacati, si conviene di riconoscere la libertà dell’organizzazione sindacale mantenendone però il ruolo “pubblico” (di derivazione fascista) e la validità “erga omnes” dei contratti collettivi nazionali di lavoro.

Il risultato è l’art. 39 della Costituzione che recita:

L’organizzazione sindacale è libera. Ai sindacati non può essere imposto altro obbligo se non la loro registrazione presso uffici locali o centrali, secondo le norme di legge.

È condizione per la registrazione che gli statuti dei sindacati sanciscano un ordinamento interno a base democratica. I sindacati registrati hanno personalità giuridica. Possono, rappresentati unitariamente in proporzione dei loro iscritti, stipulare contratti collettivi di lavoro con efficacia obbligatoria per tutti gli appartenenti alle categorie alle quali il contratto si riferisce

Articolo che peraltro non è mai stato attuato. Nel 1948 inizia la guerra fredda, il sindacato “unitario” si frantuma su basi partitiche in CGIL, CISL e UIL. Sorge nuovamente il problema del “riconoscimento” dei sindacati. Chi certificherà La “democraticità” interna del sindacato ? Chi ne verificherà i requisiti di “rappresentatività” ? I contrasti politici rendono inattuabile un accordo.

Ne consegue che, mentre per il pubblico impiego i contratti nazionali di lavoro continuano ad avere valore di norma giuridica (emanati prima per Decreto del Presidente della Repubblica, poi con la “privatizzazione”del pubblico impiego concordati secondo procedure definite dalla legge) per il settore privato i CCNL tornano ad essere un semplice accordo tra privati, privi di validità “erga omnes”.

Nell’Italia “democratica” il sindacato finisce per essere una via di mezzo tra la “cinghia di trasmissione” del partito di tradizione terzinternazionalista e la corporazione fascista che svolge funzioni assistenziali e di patronato (sovvenzionate dallo Stato). In questo contesto la scelta degli anarchici e dei sindacalisti rivoluzionari di confluire, dopo la Liberazione, nella CGIL “unitaria” costituendovi una propria corrente (i Comitati di Difesa Sindacale) finisce per essere rapidamente riassorbita.

Le lotte del 1968 e lo Statuto dei lavoratori

La grande stagione di lotte che si apre nel 1968 dà nuovamente voce alla base, con un nuovo protagonismo dei lavoratori e la nascita dal basso dell’esperienza dei Consigli di fabbrica.

Nel 1970 viene emanato lo Statuto dei Lavoratori (Legge 300/1970), che da un lato consacra alcune conquiste operaie ma dall’altra ribadisce il potere delle gerarchie sindacali.

In particolare i diritti sindacali vengono riconosciuti e tutelati non in quanto “diritti dei lavoratori” ma in quanto “diritti dei sindacati”.

Sappiamo tutti che se il 100 % dei dipendenti di un’unità produttiva vogliono indire un’assemblea sindacale NON POSSONO FARLO, solo un sindacato può farlo e quale sindacato ? Ancora una volta un sindacato “riconosciuto”

l’art. 19 della legge 300 prevedeva che solo le “confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale” e quelle “firmatarie di contratti collettivi nazionali o provinciali di lavoro applicati all’unità produttiva” potessero costituire Rappresentanze sindacali aziendali e quindi godere dei “diritti sindacali”

L’11 giugno 1995 si è tenuto un referendum che, con l’intento di allargare la rappresentatività sindacale, ha eliminato il primo requisito. Come troppo spesso accade il cambiamento delle disposizioni legislative è stato poi utilizzato non per allargare (come era nelle intenzioni dei promotori del referendum) ma per restringere le maglie dei diritti sindacali.

Gli “accordi di luglio” e la scelta neocorporativa

Che cosa era accaduto nel frattempo ?

Dopo aver accettato la definitiva eliminazione della scala mobile (accordo del 31 Luglio 1992) l’anno successivo CGIL, CISL, UIL (accordo del 3 Luglio 1993) pongono le basi della “concertazione” suggellando così la loro scelta neocorporativa.

Utilizziamo qui il termine Corporativismo nella sua accezione fascista; per indicare cioè un sistema di relazioni sindacali nel quale i sindacati dei lavoratori rifiutano la lotta di classe e collaborano con le organizzazioni padronali nel superiore interesse dell’economia nazionale.
Questo modello – dannoso per i lavoratori che si trovano di fronte a continue svendite dei loro interessi – è particolarmente vantaggioso per le burocrazie sindacali.

Così nel 1995 con la riforma pensionistica Dini la progressiva riduzione della copertura delle pensioni pubbliche viene “compensata” con l’istituzione di fondi pensionistici privati. Per i lavoratori dipendenti questi fondi pensione (detti “chiusi”) sono gestiti in regime di monopolio da consigli di amministrazione composti al 50 % da rappresentanti sindacali e dei datori di lavoro.

Ingabbiare il movimento dei lavoratori
La necessità di imbrigliare le crescenti proteste contro le burocrazie sindacali (che hanno portato alla nascita di organizzazioni sindacali di base) inducono Governo e sindacati a concordare leggi sempre più restrittive:

  • Il diritto di sciopero nei “servizi pubblici essenziali” viene fortemente limitato con la legge 146 del 1990 (poi ulteriormente peggiorata dalla legge n. 83 del 2000).
  • Il diritto di svolgere assemblee sindacali in orario di servizio non è (come abbiamo visto) un diritto dei lavoratori in quanto tali ma è riservato ai soli sindacati firmatari di contratto (nel privato) ed ai sindacati “rappresentativi” (nel pubblico impiego).
  • I consigli di fabbrica vengono soppressi e sostituiti da Rappresentanze Sindacali Unitarie (RSU) elette (nel privato) dai lavoratori solo per i due terzi, mentre il restante terzo è di “nomina regia” (CGIL, CISL, UIL e altri “firmatari di contratto”).
  • Nel Pubblico Impiego le RSU sono integralmente elettive ma i loro poteri sono fortemente limitati, dato che possono sottoscrivere accordi solo col beneplacito dei sindacati “rappresentativi”.
  • Alle elezioni sindacali possono concorrere solo sindacati legalmente costituiti con atto notarile e non comitati spontanei di lavoratori.
  • Nel Pubblico Impiego esistono inoltre norme restrittive per stabilire quali sindacati siano “rappresentativi”. E’ rappresentativo quel sindacato che raggiunga il 5 % come dato medio tra il numero degli iscritti ed i voti presi (a livello nazionale) nelle elezioni per le RSU.

Le RSU in definitiva appaiono come organismi burocratici, con scarsissimi margini di manovra e non controllabili dalla base (che le elegge ma non le può sfiduciare).

PER CAPIRE QUANTO POCO CONTINO BASTI PENSARE CHE ALLA FIAT SONO STATE LE STESSE RSU CHE, A MAGGIORANZA, SI SONO SUICIDATE APPROVANDO IL CONTRATTO CAPESTRO (che ne prevede l’abolizione)

La crisi del modello concertativo e Marchionne

Con gli ultimi governi Berlusconi la concertazione entra progressivamente in crisi, sull’onda dell’imperante neoliberismo, e si cerca di marginalizzare il ruolo del sindacato ritornando sostanzialmente al modello ottocentesco che vede ripristinato il pieno potere del padrone in fabbrica ed eliminata la garanzia dei contratti nazionali. Grazie anche all’unificazione europea si è rivelata una unificazione al ribasso, con l’adeguamento progressivo delle condizioni dei lavoratori a quelle peggiori esistenti in Europa.

Marchionne non ha fatto che portare questo processo alle sue logiche conseguenze. Utilizzando il grimaldello giuridico dell’art. 19 dello Statuto dei lavoratori così come modificato dal referendum del 1995 (che riconosce i “diritti sindacali” solo alle organizzazioni sindacali “firmatarie di contratti collettivi nazionali o provinciali di lavoro applicati all’unità produttiva”) ha dimostrato che “il Re è nudo”.

È uscito dalla Confindustria, ha disdetto tutti i Contratti sottoscritti negli anni precedenti ed ha imposto il suo Contratto “ad hoc” per le aziende del gruppo FIAT. I sindacati che accettano senza fiatare questo Contratto sono premiati con i diritti sindacali (possibilità di indire assemblee, di avere rappresentanti sindacali in fabbrica…) chi non le accetta viene privato di ogni diritto. Così la CGIL si trova a dover subire quella stessa emarginazione a cui ha sempre condannato i sindacati di base.

Da notare che anche i sindacati che si sono piegati al nuovo Contratto si trovano ora sotto il perenne ricatto del padrone che può sanzionarle pesantemente (anche attraverso multe da applicare sui contributi sindacali che l’azienda trattiene in busta paga per conto dei sindacati) nel caso indicano scioperi ed agitazioni “non conformi”.

L’incapacità (anche da parte di un sindacato con centinaia di migliaia di iscritti come la FIOM) di reagire in modo efficace a questo pesantissimo attacco dimostra quali nefasti risultati abbiano prodotto il progressivo ingabbiamento del movimento dei lavoratori con scioperi ed agitazioni ormai divenuti puramente simbolici (vedi i penosissimi scioperi di 2-3 ore indetti contro la manovra Monti) e rende ancor più indispensabile rifondare dal basso, attraverso l’AZIONE DIRETTA il movimento dei lavoratori.

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