SABATO 17 GIUGNO
ore 18.00 in via Tolmezzo 87
presentazione del libro
ABITARE ILLEGALE
di Andrea Staid
a seguire solito ricco buffet vegan di autofinanziamento!
Recensione tratta da Carmilla online
«La casa è di chi l’abita, è un vile chi lo ignora»
Gli strascichi della crisi hanno eletto la distopia a forma letteraria più attuale, Andrea Staid attua una scelta differente: addentrarsi nell’eterotopia. Con metodo etnografico (ovvero su campo, tramite le voci dei diretti interessati), l’autore mette in luce alcune realtà contemporanee molto differenti tra loro. Si parte dai vituperati campi nomadi, dove rom e sinti mettono in luce il prorpio concetto di casa, incompatibile con quelle fastidiose scatole di cemento in cui si rinchiudono volutamente i gagé. Prosegue poi con le case occupate, le esperienze di Milano e Barcellona sono prese ad esempio nel secondo capitolo, ma si parla anche di altre realtà europee e della storia dei movimenti di lotta per la casa. Il quarto capitolo è dedicato a comuni, Wagenplatz ed ecovillaggi e i due finali trattano autocostruzione (specie dopo un terremoto) e slum, a partire dal Gran Ghetto di Rignano, raccontato dalla dai ragazzi di Radio Ghetto: la coraggiosa emittente radiofonica che diffonde la voce dei lavoratori agricoli che abitano nella baraccopoli.
Il differente modo di concepire la propia casa, ovvero non affittandola né acquistandola, crea nuove forme di vita. È indubbio che il sistema (turbo) capitalista non tolleri l’esistenza di queste “anomalie”, presto spiegato dunque il valore della descrizione e dell’analisi dei modi di abitare illegali. L’eterotopia è tra le altre cose un nucleo di infrapotere: qualcosa che non potrebbe esserci, ma c’è. La capacità reattiva di nomadi, occupanti e comunarde va dunque oltre i confini delle case. Sparigliando le carte a uno dei sistemi di estrazione di valore dal lavoratore (affitto, mutuo), l’abitare informale è un attacco diretto alle urbanistiche che escludono i poveri. Vedi il caso delle case occupate di via Torricelli a Milano, che rappresentano la contraddizione lampante tra il tessuto storicamente popolare della zona adiacente ai Navigli e il tentativo, per lo più riuscito, di trasformare il quartiere in un divertimentificio con prezzi al metro quadro da capogiro. Fortunatamente ci sono più cose in cielo e in terra di quante non ne sognino i nostri governi e palazzinari (spesso leghisti, al nord) e se ci sono più case senza gente che gente senza casa, da qualche parte un bastone nell’ingranaggio del sistema è stato messo. Ma la questione della riappropriazione dell’abitare nei quartieri gentrificati non è l’unica proposta degli occupanti. Quello che si evince dalle numerose interviste, che siano occupanti di San Siro, Corvetto o del Raval barcelloneta, è il tentativo di praticare svariate forme di solidarità attiva. I movimenti di lotta per la casa, negli anni, hanno saputo creare vere e proprie strutture di supporto per la popolazione. Laddove le municipalità hanno abbandonato le periferie, gli occupanti di case hanno portato cultura, formazione (non ultime le expertises edili), solidarietà e mutuo soccorso tra lavoratori, genitori e musicisti…
Il modo di vivere degli occupanti non si limita a riprodurre illegalmente la dinamica del chiudersi entro quattro mura e curare il proprio esiguo pezzo di mondo, si propone anzi di generare e alimentare un tipo differente di società in cui la casa è comunque parte di un fatto sociale.
Ma non si ferma qui, Andrea Staid. Mettere in luce l’abitare informale significa anche andare oltre al concetto di squat, casa occupata o spazio sociale “con abitativo” che sia. A partire delle comuni, il libro dimostra come la differenza tra l’abitare “normale” e quello informale proliferi in una serie davvero ampia di forme e modalità. L’esempio delle comuni è importante per quel che riguarda la riproduzione stessa della vita. Casse comuni e lavori condivisi sono all’ordine del giorno per gli Elfi o gli abitanti di Urupia, per fare un esempio. E se l’utopia di un rapporto diverso con la natura e con gli esseri umani spessissimo riguarda comunità libertarie, nel libro si parla anche della comune di Agognate (Novara), creata e sviluppata da cattolici che incentivano il concetto di rifugio per chi si trovi ai margini della società. «Abitare, vita in comune è per me una sfida continua. Sono partita per questa avventura perché i confini della famiglia e delle forme di vita religiosa esistenti mi stavano strette». Dichiara una delle abitanti di Agognate.
Quello che esce “dal seminato” è spesso vario, multiforme, fantasioso. Ma soprattutto non è subito passivamente. Nessuno degli intervistati sostiene che il proprio modo di abitare sia più semplice che affittare un appartamento in periferia. Staid è chiaro: il fattore economico è solo uno dei mille in questa scelta. Dal momento in cui lo spazio vitale è anche un compromesso con altri e non è possibile abbandonare una casa occupata vuota, senza che la sgomberino, l’eterotopia è un luogo altro da conquistare, che costa fatica affinché dia soddisfazione o semplicemente “funzioni”. (…)