A marzo 2012 è prevista una tornata elettorale per il rinnovo delle Rappresentanze Sindacali Unitarie nel pubblico impiego.
Come già evidenziato in un post precedente non esiste, neppure sul piano puramente formale, un barlume di democrazia sindacale nel nostro Paese. In base allo Statuto dei lavoratori i “diritti sindacali”: assemblee, affissione, propaganda ecc. sono diritti dei soli sindacati riconosciuti, non dei lavoratori autonomamente organizzati.
Secondo l’art. 19 della stessa legge infatti solo le organizzazioni sindacali “firmatarie di contratti collettivi nazionali o provinciali di lavoro applicati all’unità produttiva” possono costituire Rappresentanze sindacali aziendali e quindi godere effettivamente di questi “diritti sindacali” (Marchionne sta usando spregiudicatamente proprio questa clausola per estromettere la FIOM dalla FIAT).
Nel 1993, con un accordo tra CGIL CISL UIL e Confindustria, I consigli di fabbrica nel settore privato sono stati soppressi e sostituiti da Rappresentanze Sindacali Unitarie (RSU) elette dai lavoratori solo per i due terzi, mentre il restante terzo è di “nomina regia” (CGIL, CISL, UIL e altri “firmatari di contratto”).
Il sistema delle RSU è stato introdotto nel pubblico impiego nel 1997 con il Decreto Legislativo 396 (il “Decreto anti Cobas” come lo definì Il Sole – 24 Ore) per la necessità di imbrigliare le crescenti proteste contro le burocrazie sindacali.
Nel settore pubblico le RSU sono integralmente elettive ma i loro poteri sono fortemente limitati, dato che alle trattative partecipano non solo i delegati eletti ma anche i fiduciari dei sindacati “rappresentativi” e che sono questi stessi sindacati “rappresentativi” a stabilire (preventivamente nella contrattazione nazionale) i limiti del potere contrattuale delle RSU.
Le elezioni sindacali (alle quali possono concorrere solo sindacati legalmente costituiti con atto notarile e non comitati spontanei di lavoratori) servono anche per stabilire il grado di “rappresentatività” dei sindacati. E’ considerato rappresentativo quel sindacato che raggiunga il 5 % come dato medio tra il numero degli iscritti ed i voti presi (a livello nazionale) nelle elezioni per le RSU.
Lo scarso peso delle RSU è dimostrato dal fatto che le loro elezioni (che teoricamente dovrebbero tenersi ogni tre anni) sono state rinviate in più occasioni. Così nel 1999 su richiesta di CGIL CISL UIL nel comparto scuola le elezioni vennero rinviate di ben due anni e nel 2009 sono state rinviate “sine die” col pretesto di una ridefinizione dei comparti contrattuali che non si è ancora vista. In questo caso con l’accordo di CISL e UIL mentre la CGIL protestava (pensando evidentemente di poter guadagnare voti grazie al suo “movimentismo” anti Berlusconi).
Le rigide regole per il riconoscimento della rappresentanza hanno fatto sì che praticamente tutto il composito mondo del sindacalismo di base partecipi regolarmente alle kermesse elettorali, ma nel corso degli anni solo RdB (oggi USB) ha raggiunto il requisito della “maggiore rappresentatività” in alcuni comparti. Il raggiungimento di questo obiettivo (che oltre al diritto di indire assemblee in orario di lavoro comporta la concessione di permessi e distacchi sindacali) rischia però di trasformarsi in un frutto avvelenato: i distacchi sindacali creano un ceto di sindacalisti di mestiere e favoriscono una incipiente burocratizzazione delle organizzazioni di base, si finisce per sottoscrivere contratti “a perdere” pur di mantenere il diritto di poter continuare a partecipare alle trattative successive.
A volte le necessità manovriere portano a risultati decisamente incomprensibili, così l’USI di Roma (una scissione dell’USI/AIT) ha deciso di presentare, per il comparto scuola, propri candidati “nelle liste” dell’ANIEF, un sindacato corporativo, fortemente sponsorizzato dalla rivista professionale “La tecnica della scuola”. Incomprensibile perchè se l’USI di Roma volesse presentare propri candidati potrebbe farlo tranquillamente nelle singole scuole con la propria sigla mentre così si limita a portar acqua ad un’altra organizzazione che con il sindacalismo “libertario” o “di base” non ha proprio nulla da spartire.
Non si vuole qui demonizzare la partecipazione alle RSU, soprattutto negli ambienti più arretrati la presenza di un delegato “di base” risulta spesso utile per impedire che la Dirigenza faccia passare la sua volontà come un rullo compressore e con la complicità di sindacalisti venduti.
Ma si tratta appunto di una logica puramente difensiva, che in nessun caso può trasformarsi in un progetto strategico (proprio l’esperienza di RdB insegna che il fatto che un sindacato di base raggiunga il requisito della “rappresentatività” non modifica in alcun modo il quadro delle “compatibilità”) .
Al contrario (e lo abbiamo visto in diversi casi) lo sviluppo di un movimento di massa modifica drasticamente il quadro di riferimento (e mette rapidamente da parte le mediazioni delle RSU) ed è solo lo sviluppo di questo movimento che deve costituire il quadro progettuale della nostra azione.