Cineforum Autogestito Antifascista di mercoledì 20

porcorosso2Italia, periodo tra le due guerre mondiali. Un misterioso pilota di aerei dalle sembianze di maiale, detto Porco Rosso, è il terrore dei pirati del Mare Adriatico, almeno finché questi non si affidano all’americano Curtis, avventuriero spavaldo che sfida Porco Rosso a duello.
Quello che a prima vista potrebbe apparire come uno dei lavori più scanzonati del maestro dell’anime giapponese, come fosse girato per ingannare il tempo tra un’epopea e l’altra, è al contrario la perfetta cartina di tornasole per cogliere alcuni temi portanti della poetica di Miyazaki. Sotto le vesti del divertissement, infatti, ecco spuntare il lato più politico e libertario del regista nipponico, incarnato nell’anarchico escapismo di Porco Rosso, eroe senza tetto né legge, solitario come un ronin errante, che rifiuta ogni forma di omologazione. Su tutte quella fascista del regime che avanza, infestando la (sua) bella Italia (“meglio porco che fascista” è una delle frasi-cardine del film) e fagocitandone le diversità.
La scelta di ambientare la vicenda tra le schermaglie aeree di piloti e pirati – entrambe creature estraniate dalla società e che rispondono a un codice d’onore a parte – la dice lunga su come Miyazaki scelga il ruolo di osservatore distaccato ma non imbelle di fronte a una realtà che non gli appartiene. “Sono sempre i buoni a morire”, va ripetendo l’eroe dai tratti suini, ribadendo il sostanziale pessimismo nei confronti di una società che sceglie di prostituire la sua bellezza e di asservirsi al potere. L’Italia ideale su cui Porco Rosso ama svolazzare, quella assolata dell’hotel Adriano, delle dame eleganti e delle folle festanti, dopotutto è anche il paese capace di dar vita al mostro del totalitarismo, diffondendo il germe che inquinerà irreparabilmente il XX secolo.
Che si tratti di Italia degli anni ’20 o di un Giappone contaminato dal fantasy, Miyazaki riesce al solito a veicolare il suo messaggio senza appesantire la narrazione: ritorna il consueto topos della ragazza che sceglie il lavoro, senza sottrarsi alla fatica, per emanciparsi socialmente e contribuire con qualcosa di concreto alla causa in cui crede. Pur scegliendo un approccio visivamente quasi dimesso, senza ricorrere alle immagini flamboyant di una Nausicaa della valle del vento o de La città incantata, quella che Miyazaki ci regala è una pagina tutt’altro che minore del grande libro delle sue visioni, in grado di stupire al pari di quanto sanno insegnare.

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